Dopo Fedrigoni, Pentagram ha lavorato anche al rebranding di Fabriano

Si parla spesso del cosiddetto “emotional branding”, cioè dell’opportunità di un marchio di instaurare un legame emotivo con il pubblico di clienti o potenziali clienti. Per la maggior parte delle aziende arrivare a un risultato del genere — con o senza investimenti milionari e “formule magiche” — è un sogno irrealizzabile. Alcune di esse, però, sono lì, in mezzo ai nostri neuroni, a solleticare ricordi e a innescare nostalgie, intimamente connesse con quelle che sono le nostre storie personali.
Tra tutte le grandi cartiere che hanno fatto la gloria dell’industria italiana, ce n’è una che più di tutte le altre ha legato al proprio marchio un enorme carico emozionale, ed è Cartiere Milani Fabriano, meglio conosciuta semplicemente come Fabriano, dal nome della cittadina dell’entroterra marchigiano in cui, già dalla seconda metà del ‘200, si fabbricava la carta.

L’iconico album Fabriano Disegno 4, dove si vede ancora il vecchio logo
(courtesy: Fabriano)

Chiunque abbia frequentato una qualsiasi scuola, negli ultimi decenni, ha usato almeno una volta uno degli album da disegno — l’F4 o l’F2 li vendevano ovunque, pure dal tabaccaio e nelle edicole, e generazioni di bambine e bambini, poi ragazzine e ragazzini, hanno iniziato a pasticciarci con le tempere, i pastelli, i pennarelli e gli acquerelli (ho l’indelebile ricordo di un lunghissimo pomeriggio domenicale a riempire il foglio di puntini, ché la maestra voleva che imparassimo così il puntinismo), per poi passare al disegno tecnico o all’ornato alle superiori.

Quegli album arrivavano da lì (tra l’altro io abitavo poco lontano, nella medesima provincia, a 40 minuti di auto, e mi sembrava che il fatto di trovare scritto il nome di una città vicina su un oggetto che si usava ovunque rendesse un po’ più importanti anche noi che vivevamo in un paesino minuscolo), ed erano frutto di una lunghissima storia che cominciava con le tecniche di lavorazione della carta importate dai cinesi e dagli arabi, poi migliorate dai fabrianesi introducendo innovazioni come la filigrana, che permetteva di risalire ai fabbricanti, o l’uso della gelatina animale al posto dell’amido per la collatura della superficie del foglio (l’amido si consumava molto più rapidamente). Una storia proseguita poi nei secoli fino a diventare Storia con la S maiuscola, da cinquant’anni racchiusa nel celebre logo disegnato nel 1971 dal designer milanese Carlo Cattaneo. Un logo talmente potente da creare spesso scompiglio per ciò che riguarda i formati standard della carta, con molta gente a confondere l’F4 — il nome dell’album, che aveva e ha due misure: 24×33 cm o 33×48 cm — con l’A4.

Si parla spesso del cosiddetto “emotional branding”, cioè dell’opportunità di un marchio di instaurare un legame emotivo con il pubblico di clienti o potenziali clienti. Per la maggior parte delle aziende arrivare a un risultato del genere — con o senza investimenti milionari e “formule magiche” — è un sogno irrealizzabile. Alcune di esse, però, sono lì, in mezzo ai nostri neuroni, a solleticare ricordi e a innescare nostalgie, intimamente connesse con quelle che sono le nostre storie personali.
Tra tutte le grandi cartiere che hanno fatto la gloria dell’industria italiana, ce n’è una che più di tutte le altre ha legato al proprio marchio un enorme carico emozionale, ed è Cartiere Milani Fabriano, meglio conosciuta semplicemente come Fabriano, dal nome della cittadina dell’entroterra marchigiano in cui, già dalla seconda metà del ‘200, si fabbricava la carta.

L’iconico album Fabriano Disegno 4, dove si vede ancora il vecchio logo
(courtesy: Fabriano)

Chiunque abbia frequentato una qualsiasi scuola, negli ultimi decenni, ha usato almeno una volta uno degli album da disegno — l’F4 o l’F2 li vendevano ovunque, pure dal tabaccaio e nelle edicole, e generazioni di bambine e bambini, poi ragazzine e ragazzini, hanno iniziato a pasticciarci con le tempere, i pastelli, i pennarelli e gli acquerelli (ho l’indelebile ricordo di un lunghissimo pomeriggio domenicale a riempire il foglio di puntini, ché la maestra voleva che imparassimo così il puntinismo), per poi passare al disegno tecnico o all’ornato alle superiori.

Quegli album arrivavano da lì (tra l’altro io abitavo poco lontano, nella medesima provincia, a 40 minuti di auto, e mi sembrava che il fatto di trovare scritto il nome di una città vicina su un oggetto che si usava ovunque rendesse un po’ più importanti anche noi che vivevamo in un paesino minuscolo), ed erano frutto di una lunghissima storia che cominciava con le tecniche di lavorazione della carta importate dai cinesi e dagli arabi, poi migliorate dai fabrianesi introducendo innovazioni come la filigrana, che permetteva di risalire ai fabbricanti, o l’uso della gelatina animale al posto dell’amido per la collatura della superficie del foglio (l’amido si consumava molto più rapidamente). Una storia proseguita poi nei secoli fino a diventare Storia con la S maiuscola, da cinquant’anni racchiusa nel celebre logo disegnato nel 1971 dal designer milanese Carlo Cattaneo. Un logo talmente potente da creare spesso scompiglio per ciò che riguarda i formati standard della carta, con molta gente a confondere l’F4 — il nome dell’album, che aveva e ha due misure: 24×33 cm o 33×48 cm — con l’A4.

Fonte: frizzifrizzi.it